“Smetta di considerare il teppista delle periferie il suo interlocutore naturale”.
Questo brano di una recensione scritta dal critico Tullio Kezich per il film di Dario Argento Phenomena si potrebbe applicare a gran parte del cinema italiano di genere.
Considerazione da non interpretare in maniera negativa ma come una semplice constatazione.

D’altra parte è innegabile che le nostre produzioni degli anni Settanta, allora ritenute di serie b (dal poliziottesco alla commedia sexy), non nascessero certo con l’intento di intercettare il pubblico colto o i cinefili. Insomma, coloro che in quel periodo frequentavano i cineclub difficilmente andavano a vedere Milano calibro 9 o L’insegnante.

Inoltre, chi scrive può testimoniare di aver assistito alla proiezione dell’horror di Lucio Fulci Paura nella città dei morti viventi, nell’autunno del 1980, in una sala parrocchiale della provincia milanese: adolescente in mezzo a un pubblico composto per la maggior parte di adolescenti cagnarosi.
Definirli in blocco teppisti è forse eccessivo: ma alcuni lo erano di sicuro.

In ogni caso, soffermandoci su Paura nella città dei morti viventi, si può ritenere l’eccesso horror splatter, unitamente del resto alla scelta di una narrazione che sembra sfrangiare il racconto, come un atteggiamento di Lucio Fulci consapevolmente surrealista, anarchico e provocatorio nei confronti del cinema borghese.

Lo stesso regista, del resto, si espresse in tal senso a proposito di una famosa scena di Zombi 2 (quella dell’occhio di Olga Karlatos trafitto da uno spuntone di legno della porta), che dichiarò essere “una citazione chiaramente dadaista e surrealista” (Il cinema del dubbio: intervista a Lucio Fulci, a cura di Marcello Garofalo con la collaborazione di Antonietta De Lillo, Nocturno Dossier).

Certamente si potrebbero interpretare le parole di Fulci come un tentativo di giustificazione “nobile”.
Pare tuttavia evidente che il gore di Fulci, anche quando inserito perché richiesto dal mercato, sia filtrato da un controllo e da un’ispirazione registica sconosciuti ad altri colleghi che in quel periodo realizzavano pellicole con abbondanza di effetti shock sanguinolenti.

Nello stesso anno, tanto per dire, escono anche Antropophagus (Joe D’Amato), Zombi Holocaust (Marino Girolami), Virus – L’inferno dei morti viventi (Bruno Mattei) e Alien 2 – Sulla Terra (Ciro Ippolito).
Sono pellicole ancorché godibili (se si apprezza il genere, ovviamente) che però non raggiungono il livello dei migliori film di Fulci. Tra questi i tre sui morti viventi, con il già citato Zombi 2, Paura e, ultimo, … e tu vivrai nel terrore – L’aldilà, del 1981.

Paura nella città dei morti viventi è con ogni probabilità il meno apprezzato dagli appassionati, tuttavia qui il sanguinolento raggiunge un notevole livello artistico. Il riuscito connubio col sovrannaturale crea un’atmosfera morbosa e macabra che ancora oggi non ha eguali.

Cosicché Paura nella città dei morti viventi non sfigura se confrontato con i migliori horror di quegli anni: Fantasmi (1979) di Don Coscarelli e Fog (1980) di Carpenter, Inferno (1980) di Dario Argento e Le notti di Salem (1979) di Tobe Hooper. Titoli che, per un verso o per l’altro, hanno sicuramente influenzato Lucio Fulci.

Tornando al discorso “teppistico” di Kezich, si può affermare che film come Paura nella città dei morti viventi di solito riempivano (quando le riempivano) le sale di seconda e terza visione. Sale cinematografiche che in vari casi erano periferiche e alcune volte mal frequentate. Cosa che peraltro finiva per accrescere il fascino della pellicola.

Non è un caso dunque che due film di Fulci, L’aldilà e, appunto, Paura nella città dei morti viventi, vengano citati in Sballato, gasato, completamente fuso, diretto da Steno e che esce nel 1982.
Il protagonista maschile, accanto a Edwige Fenech, è Diego Abatantuono. Il cosiddetto “terrunciello” in quel periodo è l’emblema del teppista in versione comica, il ras delle periferie, grazie al successo delle pellicole di Carlo Vanzina I fichissimi (1981) ed Eccezzziunale… veramente (1982). In un altro, precedente film di Steno, Fico d’India (1980), Abatantuono interpreta il capo di una banda di teppisti notturni e motorizzati chiamato il Burattinaio.

Veniamo alle citazioni.

La prima è abbastanza chiara. A meta circa di Sballato, gasato, completamente fuso, la giornalista Patrizia, che sta realizzando un’inchiesta sull’avventura erotica maschile ideale, si reca da Brian De Pino, regista di film dell’orrore.

Non sa che De Pino è uscito e che ad accoglierlo è in realtà Pippo, il cameriere e autista, nonché aspirante attore, che si spaccia per il regista. L’uomo prima cerca di approfittare di lei, poi la terrorizza inseguendola per tutta la casa, proprio come il classico maniaco di un film del terrore.

L’intera sequenza è costruita con una certa perizia come un lungo omaggio all’orrore cinematografico, e sono numerosi i richiami, in particolare a Shining (1980) di Stanley Kubrick e ovviamente a Brian De Palma.

Tra il minuto 00:48 e il 00:50 vediamo poi la locandina di L’aldilà inquadrata per ben otto volte alle spalle della Fenech.

Sballato, gasato, completamente fuso


Il secondo riferimento, quello a Paura nella città dei morti viventi, è certamente più nascosto, e può essere preso anche solo come ipotesi.
Nel finale di Sballato, gasato, completamente fuso, il taxista Duccio ha una breve scena con un portiere d’albergo. Nel tipico stile comico/verbale di Abatantuono, Duccio dice al portiere:
“Guarda tu per esempio, vedi come sei ridotto, tu sei una schifezza. Sembri uno zombi, uno dei morti che saltano”.

Sballato, gasato, completamente fuso


Ora, in Paura nella città dei morti viventi, a un certo punto un bambino fugge dopo aver assistito alla cruenta uccisione di una donna da parte di un morto vivente. Il bambino corre lungo una strada, poco illuminata e nebbiosa. Si ferma, alza lo sguardo e su un ponte vede comparire un altro morto vivente (interpretato dal futuro regista Michele Soavi). Il quale salta giù e afferra il bambino.

dei morti viventi
Paura nella città dei morti viventi


Il gesto atletico del morto vivente può apparire addirittura comico, ammesso che si possa trovare qualcosa di divertente in Paura nella città dei morti viventi: soprattutto se paragonato alla terrificante lentezza degli altri morti viventi del film.

È probabile che l’accenno di Abatantuono ai “morti che saltano” sia riferito proprio a questa scena.
Va tenuto conto, d’altronde, che Fulci all’inizio della carriera è stato l’aiuto regista di Steno in vari film. È del tutto plausibile quindi che la battuta di Abatantuono sia una stoccata, affettuosa e ironica, del maestro Steno al suo ex-allievo.




Un pensiero su “ABATANTUONO E LA CITTÀ DEI MORTI VIVENTI”
  1. Riguardo la battuta “Sembri uno zombi, uno dei morti che saltano” non potrebbe essere una semplice battuta che sfrutta lo scambio zombi/zompi “morti che camminano”/”morti che saltano” ? La comicità di Abatantuono, almeno in quegli anni, si basava molto sul malapropismo.

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