Il fumetto francofono è approdato in Italia nell’immediato dopoguerra. Non si parla ancora delle storie in grande formato e a colori pubblicate a puntate su riviste come Spirou, Tintin e Pilote e poi raccolte in volume, ma di albi in bianco e nero generalmente di ambientazione western realizzati in buona parte dall’attivissimo Atelier Chott di Pierre Mouchot, per il quale lavoravano autori come Charlas, Rocca, Bordelet, “Marijac” e “Dut”.
Il personaggio forse più noto è il muscoloso cow boy mascherato Big Bill le Casseur (che potremmo tradurre con “Spaccatutto“) ideato dallo sceneggiatore J. K. Melwyn-Nash (Marcel Navarro). I disegni non sono eccelsi e non è difficile individuare veri e propri “ricalchi” da noti personaggi dei fumetti pubblicati sui quotidiani statunitensi come il Flash Gordon di Raymond o il Tarzan di Hogarth. Addirittura, in un episodio si arrivò a pubblicare pari pari un’avventura di Tex disegnata da Galleppini, limitandosi a sostituire al ranger il muscoloso castigamatti!

A portare nelle edicole italiane i vari Buffalo Bill, Jim Boum (ribattezzato Jim Bull), Jim Clopin Clopan (da noi Mosquito l’allegro cow boy) e Poncho Libertas (italianizzato in Poncio Libertas) furono gli editori Nerbini, Ippocampo e Zenith. Le produzioni dell’Atelier Chott (Big Bill, Robin Hood e Fantax) se le accaparrò il genovese De Leo.
Rispetto ad altri personaggi che si vedevano a quel tempo in edicola in Francia come da noi, le produzioni di Mouchot spiccavano per violenza: in un’avventura Big Bill si tolse lo sfizio di prendere a schiaffoni il mitico Buffalo Bill e in un altro episodio andò addirittura in scena la scalpatura del capo comanche Becco di Lepre! Quanto bastava per scatenare le ire dei perbenisti francesi, i quali ottennero nel 1949 il varo di una pesante legge sulla censura e, nel 1961, addirittura la condanna in tribunale di Pierre Mouchot, titolare dell’Atelier (nonostante fosse un eroe pluridecorato della Resistenza)!

Una nota a parte la merita la serie Sitting Bull (in Italia sugli Albi Saturnia delle Edizioni Ippocampo tra il 1949 e il 1950), forse il primo fumetto europeo “dalla parte degli indiani” in un periodo in cui i “musi rossi” erano selvaggi da prendere a fucilate, o perlomeno a sventole, e “l’unico indiano buono era l’indiano morto”.
Un rapporto più ambivalente tra bianchi e pellerossa fece capolino più o meno nello stesso periodo sul Tex di G. L. Bonelli e nel Kinowa di Andrea Lavezzolo, ma prima di arrivare all’equidistante Zagor e soprattutto al “politicizzato” Ken Parker di Berardi e Milazzo dovevano passare un bel po’ di anni.

Per vedere anche in Italia storie francesi di ben altra levatura grafica e narrativa si dovette attendere l’estate del 1962, quando il “grande sperimentatore” Gino Casarotti portò in edicola Tipitì. Convinto che i giovani (e meno giovani) lettori italiani non fossero pronti per il grande formato d’Oltralpe, optò per quello a “quadernetto” che avrebbe caratterizzato altre sue pubblicazioni come la riproposta a colori dei best seller Capitan Miki e Il Grande Blek o la Collana Eroica. Il necessario rimontaggio nella gabbia a sei vignette fu affidato allo Studio Bramante, che per alcuni numeri realizzò anche le copertine.
Nonostante i rimaneggiamenti, la colorazione difforme dall’originale e un lettering decisamente sciatto, la qualità dei materiali originali li salvò dallo strazio redazionale e scosse nell’intimo i lettori (inizialmente non tantissimi, al punto che per rendere più accattivante la collana, dopo qualche numero, si rese necessario un restyling delle copertine a opera di Giovanni Caselli dello Studio D’Ami) che, per la prima volta (se si trascura il Tintin pubblicato senza successo da Vallardi qualche anno addietro), si trovava di fronte a storie e personaggi “stranieri” di grande fascino, originalità e qualità, a cominciare dal Gil Giordan (in originale Gil Jourdan) di Maurice Tillieux che debutta con il botto nell’avventura “Il mistero dell’auto sommersa” (“La voiture immergée“), uno dei punti più alti della produzione fumettistica franco-belga. Gli fanno compagnia il divertente titolare di testata Tipitì (Johan et Pirlouit) di Peyo che, in una delle successive avventure, porterà in scena per la prima volta i Puffi (Les Schtroumpf, su Tipitì correttamente ribattezzati Strunfi), il bel western Gerry Spring (Jerry Spring) di Jijé e, più tardi, il Vecchio Nick (Le vieux Nick et Barbe-Noire) di Marcel Remacle. Poco dopo, sulla nuova Collana Dardo che vede protagonista il pirata Jean Lafitte, Casarotti importa anche il Lucky Luke di Morris. L’esperimento non va comunque troppo lontano, e Tipitì chiude dopo 36 numeri nel dicembre del 1963.

A saziare la fame di fumetto francese di qualità suscitata dalla coraggiosa pubblicazione della Dardo provvede, in quello stesso anno, la Mondadori, che vara una collana di albi brossurati a colori di grande formato, i quali rispettano finalmente quello degli originali d’Oltralpe. Si tratta dei Classici Audacia, un mensile che con le 250 lire del prezzo di copertina rappresenta un piccolo salasso per le tasche dei lettori più giovani.
Ma il richiamo è forte: le belle copertine, la carta lucida, gli innovativi e coinvolgenti personaggi che vanno dal pilota di Formula Uno Michel Vaillant di Jean Graton al pilota aerospaziale Dan Cooper di Albert Weinberg, al giornalista-investigatore Ric Roland (Ric Hochet) di Duchateau e Tibet, conquistano il cuore dei ragazzi e soprattutto dei lettori più maturi, sempre a caccia di nuove emozioni a quadretti.
A scuotere fortemente le abitudini di consumo fumettistico e sconvolgere l’immaginario visivo degli appassionati italiani provvede poi Edgar-Pierre Jacobs che, con le avventure fantastico-archeologiche del professor Mortimer (Blake et Mortimer), li trascina in un’esperienza di lettura mai provata prima. Con l’episodio “Il Marchio Giallo” li stregherà definitivamente.

Dopo 37 numeri nel formato iniziale, dal 38 al 50 i Classici Audacia riducono di poco il formato, passano alla rilegatura con le spille e le pagine a colori si alternano a quelle in bianco e nero. Dal n. 51 e fino al 63 del dicembre 1967 aumenta di nuovo il formato e torna il colore in tutte le pagine. Ai personaggi del primo periodo si aggiungono la meteora Jimmy Torrent, il western Blueberry scritto del veterano Charlier, che fa conoscere al pubblico italiano quel Jean Giraud poi diventato una vera star con lo pseudonimo di Moebius, gli ottimi Tanguy e Laverdure con un realistico Uderzo al pennello, l’insipido Marc Franval, l’incalzante Bernard Prince con i disegni di un Hermann in rapidissima ascesa, e l’ingenuo ma estremamente accattivante Luc Orient.
Tanta grazia non impedisce alla testata di chiudere i battenti, e per la Mondadori è l’ultima avventura editoriale significativa nel settore del fumetto, che in seguito abbandonerà del tutto quando la nascita della Disney Italia gli strapperà dalle dita anche il redditizio Topolino.

I character francesi si sono però guadagnati un buon pubblico ed Enrico Bagnoli, che già aveva diretto i Classici Audacia, se li porta dietro nei periodici del Corriere della Sera quando viene assunto come redattore del Corriere dei Piccoli. Contemporaneamente alla pubblicazione sul settimanale, cerca di resuscitare presso la nuova casa editrice la testata chiusa da poco e con gli Albi Ardimento replica in qualche modo il mensile mondadoriano.
Il prodotto è però molto più grezzo e poco accattivante: scomode copertine di cartone rigido, carta di pessima qualità, colori buttati là senza gusto, inserti pubblicitari che “interrompono l’emozione” e costringono a sacrificare numerose vignette, e una scelta di personaggi non sempre all’altezza della precedente pubblicazione condannano il tentativo dopo 30 numeri. Una parallela pubblicazione umoristica per ragazzi, gli Albi Sprint, che ospitano i Puffi, Mignolino e Clorofilla, Lucky Luke, La combriccola e lo sfiziosissimo Poldino Spaccaferro, non ottiene maggiori risultati. Anche l’operazione di marketing di allegare un gadget a ogni albo (sia negli Ardimento sia negli Sprint) non riesce a salvare le due pubblicazioni.

I personaggi più fortunati del fumetto francofono, come i Puffi e Lucky Luke, emigreranno su il Giornalino delle Edizioni S. Paolo e, negli anni a venire, saranno ospitati in forma di volume su collane più o meno improvvisate messe in piedi da editori talvolta scomparsi con esse. Finché non scoppia il fenomeno dei “collaterali”, cioè i libri (a fumetti e non) venduti ufficialmente come allegati dei principali quotidiani, ma in realtà commercializzati indipendentemente dal giornale. Insieme a ripetute ristampe delle più fortunate serie italiane come Tex, Diabolik, Alan Ford, Dylan DogZagor e Kriminal, gli editori affondano le mani nel vastissimo magazzino dei supereroi Marvel e DC, nella sterminata produzione giapponese e anche nel vasto catalogo della BéDé.
Esemplare in questo senso il lavoro della Gazzetta dello Sport, che ormai da anni inanella uscite settimanali a prezzi più che popolari riproponendo il meglio dei classici (e non solo) del fumetto francobelga in eleganti volumi brossurati stampati rispettando l’opera originale, serviti da buone o ottime traduzioni e apparati redazionali di tutto rispetto sia che a cucinarli sia lo staff della Panini, come nel caso della riproposta di Thorgal in 50 volumi (che presentano anche gli spin off di Kriss di Valnor e Lupa), sia che a occuparsene sia l’esperto “interno” Fabio Licari o il team della ReNoir/Nona Arte (da anni impegnata sul fronte librario con la riproposta in corposi volumi degli “Integrali” di personaggi come Tanguy e Laverdure, Barbarossa e Buck Danny).

Particolarmente ricca, al punto da meritare l’acquisto anche solo per essa, la parte redazionale della collana che ha presentato tutte le avventure di Blake e Mortimer, dai capolavori immortali di Jacobs ai volumi più recenti scritti da Jean Van Hamme e Yves Sente e disegnati da Ted Benoit, André Julliard e Antoine Aubin.
Entrare nello Store della Gazzetta, dove sono ancora disponibili (a prezzo leggermente maggiorato) tutte le collane pubblicate in questi ultimi anni, per chi ama il fumetto francofono, è una specie di tuffo in un Eden di storie e personaggi imperdibili, un sogno a occhi aperti che si vorrebbe non finisse mai. Si va dai western più noti come Blueberry, di cui sono state riproposte sia le avventure classiche realizzate da Charlier e Giraud, sia il Mister Blueberry del solo Giraud, che i volumi de La giovinezza di Blueberry scritti da Corteggiani, come il Comanche di Greg e Hermann, il MacCoy di Palacios, il Durango di Swolfs e il Bouncer di Yodorowsky e Boucq passando per Jerry Spring, Buddy Longway, Johnathan Cartland e Trent, all’avventura di Bernard Prince, Bob Morane e Bruno Brazil, alla fantascienza di Luc Orient, agli storici Ramiro e Howard Flynn di Vance, al Johnathan di Cosey, all’intramontabile Michel Vaillant… e decine di altri. Senza dimenticare gli umoristici Puffi, Asterix e Lucky Luke.

In questa nuova versione, la formula dei Classici Audacia sembra finalmente avere trovato un punto di equilibrio che le permetterà di durare. E consentirà a noi di fregarci le mani in attesa delle prossime proposte.

(Un ringraziamento al documentatissimo sito http://zona-bede.blogspot.it, dove abbiamo raccolto molte informazioni: se siete appassionati di Bande Dessinée una visita è d’obbligo)

 

 

7 pensiero su “LA STORIA DEL FUMETTO FRANCOFONO IN ITALIA”
  1. Articolo molto interessante, che però presenta un buco vertiginoso tra le pubblicazioni su Il Giornalino e gli allegati da edicola: alla fine degli anni ’70 c’erano stati, tra gli altri, i volumi di Buddy Longway e Comanche della Vallecchi e gli anni ’80 furono tutto un fiorire di collane da edicola pensate appositamente per il fumetto franco-belga (edite principalmente da Nuova Frontiera che fu accusata di ingolfare il mercato, ma c’era anche la collana Pilot, oltre agli Albi Orient Express che pubblicavano opere di varia provenienza). Anche Comic Art mandava in edicola le versioni brossurate dei suoi Grandi Eroi, tra cui figuravano molti fumetti franco-belgi. E l’Eura con Euramaster ha pubblicato regolarmente in edicola un centinaio o giù di lì di volumi francesi, e continua tuttora a farlo con AureaComix BD.
    Non ho dubbi sul fatto che Marcello Toninelli sia a conoscenza della cosa, ovviamente, da esperto qual è: con ogni probabilità si è trattato di una sforbiciata punitiva a opera del direttore Sauro Pennacchioli, che come ben sappiamo detesta tutti i disegnatori che copiano fotografie (e, se ben ricordo, Toninelli aveva detto una volta che per fare alcuni fumetti porno era partito dagli stessi servizi fotografici che usava Manara).

  2. Ah! Ah! Ma no, Sauro mi vuole bene e non mi “sforbicerebbe” mai, almeno non senza il mio consenso. Il “buco” mentale è tutta colpa mia (o della stanchezza: ho finito di scrivere il pezzo a tarda notte) che ovviamente ho comprato quasi tutta la produzione che citi. Grazie di avermelo ricordato; visto che ho l’intenzione di raccogliere questo e altri articoli in libro, apporterò le necessarie correzioni e aggiunte.

  3. “per la Mondadori è l’ultima avventura editoriale significativa nel settore del fumetto”. Scusate, ma gli albi di Asterix in Italia chi li ha pubblicati per decenni fino al 2013? E la rivista Il Mago uscita fino al 1980 (che ha pubblicato, tra l’altro, Lone Sloane di Druillet)?

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