Come tutti sanno alcuni mesi fa ci ha lasciati Alfredo Castelli, sconfitto da un tumore bastardo che lo inseguiva da qualche anno. Ho preferito lasciare passare un po’ di tempo, prima di scrivere un suo ricordo.

Se n’è andato il 7 di febbraio, ormai mezz’anno fa. L’avevo visto l’ultima volta l’anno scorso a Rimini a un incontro sul fumetto umoristico degli anni cinquanta e sessanta; era seduto in prima fila, davanti a me e non l’avevo riconosciuto, tanto la malattia l’aveva consumato. Poi è intervenuto nella chiacchierata. La sua inconfondibile voce e quello che diceva, me l’hanno allora riportato integro alla memoria, permettendomi di riconoscerlo e verificare che, nonostante tutto, era quello di sempre: intelligente, acuto, sornione, affabulante, grande conoscitore (forse il più grande) di tutto quello che è fumetto e non solo.

Lo conobbi quando muovevo i primi passi nella professione, in occasioni che si perdono nella nebbia della memoria di momenti lontani. Ricordo casa sua dove andai a parlarci in compagnia di non so più chi (Salvatore Deidda?), e la volta che mi portò alla Mondadori di Segrate, e poi tutte le volte che l’ho incontrato nella sede dell’Epierre quando collaboravo con quello studio, e quando andai alla rinnovata (e destinata a durare poco) nuova Eureka, colpo di coda di una Editoriale Corno morente, per propormi come collaboratore. La proposta che gli sottoposi (una scemata) non suscitò l’interesse suo né quello di Silver che era lì con lui. Poi, naturalmente, l’ho incontrato di nuovo alle mille fiere del fumetto, fino a quella su citata.

 


Aveva solo tre anni più di me, ma quando l’ho incontrato conosceva già tutto e tutti del nostro mondo editoriale, e dunque rappresentava per me, ingenuo toscano alle prime esperienze, una guida e un’autorità. Avevo letto da ragazzo il suo Scheletrino su Diabolik, e la sua rivistina Comics Club 104 che apriva la strada in Italia a mille altre iniziative di informazione e critica sui fumetti, e dunque anche a Fumo di China che molti anni dopo avrei portato in edicola.

E l’avevo visto far capolino o farla da padrone in metà delle pubblicazioni a fumetti apparse in Italia dalla metà degli anni sessanta a quella degli ottanta, quando portò in edicola per la Bonelli il suo Martin Mystère, personaggio di rottura nella produzione della casa editrice di via Buonarroti: ambientato ai giorni nostri e con un protagonista che non usava le colt o le scuri come gli altri character storici dell’editore, ma una pistola “fantastica”, il Murchadna, e soprattutto – come il suo autore – un computer macintosh per scrivere i suoi saggi e articoli.


Alfredo non si è mai fermato, nella sua straripante voglia di fare, scrivere e pure disegnare (oltre a Scheletrino, le strisce e vignette dell’Omino Bufo). Alla Bonelli, oltre a “rivoluzionare” le caratteristiche tipiche degli abituali personaggi western protagonisti delle collane storiche (anche se la strada, a onor del vero, l’aveva già aperta Sergio Bonelli/Guido Nolitta con Mister No), aveva introdotto nuovi formati editoriali: gli Speciali con allegato libriccino a tema, team up come quello tra il suo Detective dell’Impossibile e Dylan Dog, collane antologiche come Zona X e altre iniziative tese a svecchiare la produzione bonelliana.

Dopo aver affrontato tra i primi anche le problematiche della professione (in un numero di If elencava ragioni sociali, indirizzi, numeri di telefono e nomi dei responsabili redazionali di un po’ tutte le case editrici italiane), è stato lui a stilare, su richiesta di Bonelli, il primo contratto della casa editrice con gli autori delle nuove testate. Contratto, secondo me, decisamente sbilanciato a favore degli sceneggiatori. Sia perché riconosce la creazione dei nuovi personaggi al solo autore dei testi, cancellando assurdamente qualsiasi apporto creativo dei disegnatori, sia perché per le ristampe delle storie divide i compensi a metà tra chi scrive e chi realizza graficamente le tavole. Su questo ho discusso a lungo con lui, online e poi di persona in occasione di una Riminicomix quando mi affrontò sul marciapiede davanti alla Palazzina Roma, deciso a risolvere una volta per tutte la questione. Mise in campo per l’ennesima volta i suoi argomenti, e io i miei. Quando il confronto sembrò essere arrivato a un’impasse mi accorsi che a seguirlo c’era anche padre Stefano Gorla, fino a pochi mesi prima direttore de il Giornalino. Lo chiamai in causa domandandogli come venivano divisi i diritti delle ristampe tra gli autori in via Giotto, se 50 e 50 come alla Bonelli o no. La risposta fu: “30 allo sceneggiatore e 70 al disegnatore”. E ciò mise fine alla discussione. Per sempre.

Questo è tutto quello che posso dire di Alfredo, nel bene e nel male.

Il dispiacere per le sofferenze che ha patito nei suoi ultimi anni è pari a quello di aver perso quanto ancora avrebbe potuto regalare al nostro amato medium se quella fottuta malattia non l’avesse portato via, perché la passione, che non ha mai smesso di animarlo, gli avrebbe ancora fatto partorire idee, personaggi e pubblicazioni originali in barba alla situazione sempre più problematica del settore.

 

   

Un pensiero su “RICORDANDO ALFREDO CASTELLI ALCUNI MESI DOPO”
  1. Alfredo Castelli ha attraversato tutta la mia vita da lettore di fumetti, praticamente fin dagli anni 60-70, già con Scheletrino e poi col Corriere dei Ragazzi. 💖

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