Chi le ricorda le belle dogane degli anni sessanta e settanta, quando, prima di sottometterci alla minuziosa ispezione dei doganieri, come per una pericolosa immersione dovevamo prendere una bella boccata d’aria e pregare i santi che non scoprissero nel bagagliaio della nostra macchina quel pacchetto di sigarette in più che ci poteva incriminare?

Non che le cose siano cambiate, oggi, nel senso che molte cose è ancora vietato portarle all’estero, ma allora i doganieri mi sembravano molto più zelanti, più desiderosi d’incastrare il viaggiatore distratto. Ricordo che la legge concedeva un massimo di tre stecche di sigarette, oggi quattro. Quando quei segugi trovavano in qualche auto le sigarette eccedenti, si illuminavano come dei fari e sentivi come una musica natalizia!

Scattava immediata, istantanea, fulminea, la confisca. Il pacchetto in eccesso andava nella tasca dello scopritore sotto lo sguardo invidioso del collega che, per sua sfortuna, era arrivato un mezzo secondo in ritardo. “Il solito culo!” sembrava dire.

La pista era buona. In quell’auto, c’era sicuramente qualcos’altro da arraffare! E allora spingevano lo zelo a rovistare le buste, le borsette, le valigie, gli angoli più remoti della macchina, sotto la macchina, nel tubo di scappamento, nella marmitta. Se fosse stato concesso, avrebbero strappato via la tappezzeria, smontato i sedili, i parafanghi, i paraurti, avrebbero squarciato le gomme, spolpato i cerchioni.
Qualche volta si spingevano a controllare i passeggeri, le loro tasche, le loro scarpe, alla ricerca di doppi fondi, le crocchie delle donne. Era una gara a chi trovava per primo qualche tesoro da portare in famiglia. “Guarda che cosa ti ha portato papà!”… Erano così felici a Natale, i doganieri!

Una volta avevo portato con me due stecche di sigarette. Quindi, lato fumo, ero regolare. In una busta di plastica avevo invece qualcosa come due chili di castagne. La Corsica abbonda di castagne. Ero appena sbarcato nel porto di Santa Teresa di Gallura. Due doganieri, avendo notato questo fessacchiotto, si erano prontamente illuminati. Fossimo stati di notte avremmo visto le scogliere di Bonifacio. Confisca delle castagne e, per fare buon peso, di una stecca di sigarette. Nonostante mi avessero svaligiato, sembravano delusi. Forse speravano in una bambola per la femminuccia e in un gioco di costruzione per il maschietto. Si erano dovuti accontentare delle castagne. La sera stessa le avranno arrostite nel fuoco del camino e, chiudendo gli occhi, avranno pensato ai tempi andati, quando nelle dogane potevi sgraffignare molta più roba. Probabilmente, davanti ai loro occhi chiusi erano sfilate montagne di sigarette, centinaia di bottiglie di buon vino francese, una bella giacca firmata, dei giocatoli, dei collant, una cravatta…

A quei tempi, nessuno era più nostalgico di un doganiere.

 

Un pensiero su “QUANDO I DOGANIERI ALLEGGERIVANO GLI AUTOMOBILISTI”
  1. ancora negli anni Settanta il mondo del contrabbando aveva qualcosa di ottocentesco; soprattutto nel campo dell’elettronica di consumo di alta fascia, che a quei tempi era soprattutto Sony, c’era un viavai di apparecchiature dalla Svizzera, e anche non pochi negozianti ne approfittavano, vuoi perché i prezzi erano più bassi rispetto a quelli degli importatori ufficiali, vuoi perché in Svizzera arrivavano cose impensabili in Italia; dalle pagine delle riviste specializzate alcuni di quei negozianti poi tuonavano contro l’importazione parallela di elettronica e fotocamere di lusso;
    accadde un giorno che un mio amico commerciante di elettronica perdesse notizie su un certo videoregistratore che sarebbe dovuto arrivare via Chiasso e linea di confine, si parla del 1970, e decidesse di andare a conferire con lo spallone, come si chiamavano i tizi che appunto a spalla trasportavano le merci nei boschi rischiando la galera; forse non rischiandola neanche, però;
    perché il mio amico arrivò nel paesino dalle parti di Varese in cui abitava il professionista, ma non aveva idea di dove abitasse, chiese così in piazza se qualcuno conosceva il signor… e dai tavolini del bar, ad alta voce: “ah lo spallone, dice?”; sapevano tutti il suo mestiere e il suo indirizzo, ed era molto apprezzato per la sua professionalità, forse anche, chissà dai carabinieri obbligati a vivere in quel posto dimenticato da Dio;

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