Girolamo Cardano (1500-1576) nasce a Pavia, figlio di un dignitario della corte sforzesca, dove conosce Leonardo da Vinci. Dimostra precocemente il suo ingegno e viene mandato a studiare medicina a Padova. Nel paese veneto di Piove di Sacco passerà diversi anni come medico condotto e qui si sposerà. Ritornato a Milano non riesce a entrare nella corporazione dei medici perché figlio naturale. La sua abilità come curante dell’aristocrazia milanese gli procura comunque la nomina, sebbene tra gli aspri contrasti dei colleghi.



Per arrotondare Girolamo Cardano insegna matematica, geografia e architettura nelle scuole di Milano. Nel 1545 pubblica i suoi studi matematici nel libro Ars magna, al quale ne seguono diversi altri. La fama di medico lo fa viaggiare fino in Scozia nel 1552, chiamato dall’arcivescovo Hamilton.

Nel 1560 il figlio Gianbattista viene condannato a morte e giustiziato per aver avvelenato la moglie infedele. Cardano allora abbandona la Lombardia e va a insegnare nell’università di Bologna. Causa l’invidia dei colleghi viene arrestato nel 1570 con l’accusa di eresia e stregoneria, ma viene rilasciato. Ripara allora a Roma, dove trascorrerà pacificamente i suoi ultimi anni, scrivendo la propria autobiografia.

In queste sue memorie, Cardano descrive certe visioni che ebbe da bambino: “Immagini diverse, quasi dei corpi aeriformi, che sembravano risultare di piccolissimi anelli come le maglie di ferro. Quelle figure ascendevano in semicerchio dall’angolo destro del letto e lentamente discendevano a sinistra fino a scomparire… Erano figure diafane ma non tanto da non sembrare consistenti, né tanto dense da non essere trasparenti alla vista. Opachi erano gli anelli suaccennati ed affatto diafani gli interspazi”.

Oggi potremmo definirla una trasmissione televisiva, direttamente trasmessa sulla lunghezza d’onda del cervello. I “piccolissimi anelli” sarebbero i pixel prodotti dalla telecamera nella scomposizione dell’immagine durante la ripresa. Per alcuni, Cardano fu una cavia usata dagli alieni per sviluppare nel bambino una maggiore intelligenza con una stimolazione visiva: “Ed io vedeva fortezze, case, animali, cavalli e cavalieri, erbe, piante, istrumenti musicali, teatri, uomini di diversi aspetti, vestimenta di varie foggie, trombettieri in atto di squillare le trombe, quantunque nessuna voce e nessun suono udissi. Inoltre vedeva soldati, popoli, campi di biade, figure corporee non mai vedute prima di allora, e boschi e selve… ed era veramente festoso, poiché vi si aggiungevano fiori varii, quadrupedi, uccelli di qualsiasi genere, quantunque a tutte quelle belle visioni mancasse il colore, essendo esse aeree”. Si tratterebbe di una ripresa tv in bianco e nero.

Il risultato di questo “esperimento alieno” è contrastante: Cardano studia il corpo umano, comprende le funzioni delle articolazioni e le riproduce in meccanica; ancor oggi lo snodo a doppio movimento tra due elementi è definito “giunto cardanico“. Applica la lente come obiettivo della camera oscura, il che rende Cardano precursore della macchina fotografica. Costruisce la serratura a combinazione numerica tuttora usata nelle casseforti. Riconosce che il fuoco non è un elemento ma un effetto di calore, e mette in relazione la quantità di luce con il maggiore o minor calore di un corpo.

Dagli studi sulla rifrazione della luce attraverso diverse sostanze riesce a stabilirne un rapporto di densità, inoltre dimostra l’impossibilità del moto perpetuo, in quanto l’energia necessaria per il movimento di un corpo si disperde a causa dell’attrito. Per primo si occupa dei portatori di handicap, e studia sistemi mediante i quali i sordomuti e i ciechi possano comunicare e apprendere.

Pure i passatempi furono oggetto di studi per Cardano: fu un campione di scacchi e raccolse le proprie migliori mosse e partite in un libretto. Dal gioco dei dadi, poi, iniziò la disamina del calcolo delle probabilità.

Altre singolari testimonianze dello scienziato cinquecentesco. Suo padre, Fazio Cardano, raccontava che: “13 agosto 1491. Quando ebbi terminato i riti abituali, all’incirca alla ventesima ora del giorno, esattamente sette uomini mi apparvero, vestiti di abiti serici, che somigliavano alle toghe dei greci e che portavano anche dei calzari splendenti. Le vesti che indossavano sotto il pettorale brillante e rosso sembravano tessute di scarlatto ed erano di straordinaria bellezza. Tuttavia non erano vestiti tutti in tal guisa, ma solo due, che sembravano appartenere a un rango più nobile degli altri. Il più alto, dal colorito rubicondo, era accompagnato da due compagni, ed il secondo, dall’incarnato più chiaro e più piccolo di statura, da tre compagni. Così in tutto erano sette”.

Fazio Cardano precisava che i visitatori potevano avere tra i trenta e i quaranta anni, “portati bene”. Quando chiese loro chi fossero, essi risposero di essere uomini fatti d’aria e soggetti alla nascita e alla morte. “Comunque, la loro vita era più lunga della nostra e potevano campare sino a trecento anni. Interrogati sull’immortalità della nostra anima, affermarono che nulla sopravvive dell’individuo, che sia personale. Quando mio padre domandò perché non avessero rivelato agli uomini i luoghi ove si trovavano i tesori, risposero che ciò era loro vietato in virtù di una legge speciale che condannava alle più pesanti ammende colui che avesse comunicato quelle informazioni agli uomini”.

Prosegue Cardano: “Essi restarono con mio padre per più di tre ore, ma quando egli pose la questione intorno alla causa dell’universo, non si trovarono d’accordo. Il più alto rifiutava di ammettere che Dio avesse creato il mondo eterno. Al contrario, l’altro soggiunse che Dio l’avesse creato a poco a poco, di modo che, se avesse smesso di farlo, fosse anche per un solo attimo, il cosmo sarebbe perito. Che sia realtà o fola, questo è quanto”.

E ancora, di sua personale esperienza: “Mentre ero fanciullo, una sera verso le 22 ore mi apparve una stella simile a Venere, che mandò tanta luce da essere avvertita per tutta la città. Nell’anno 1531 vidi tre soli risplendere verso oriente ed emanare come un bagliore ad orifiamma; era il mese d’aprile ed io mi trovavo per caso a Venezia. Lo spettacolo durò quasi tre ore. Antecedentemente, verso l’anno 1512, nel territorio bergamasco lambito dall’Adda, un giorno cadde oltre un migliaio di pietre, e la sera prima era apparsa nel cielo una gran fiamma a guisa di una enorme trave”.

Ci sono altre notizie di fonti diverse, che indicano fenomeni molto strani nella Lombardia di inizio del Cinquecento. Nel dicembre 1517 presso Verdello, in provincia di Bergamo, si videro due eserciti scontrarsi in battaglia, la cosa durava un’ora, poi tutto spariva. Questa apparizione si ripeté per otto giorni consecutivi, tuttavia sul luogo della battaglia fittizia vennero ritrovate orme di molti cavalli e alberi spezzati.

A fare della fantastoria, si potrebbe pensare a un ologramma proiettato nel luogo e ripetuto diverse volte. La cosa preoccupò non poco anche ad alti livelli, infatti un mese dopo il Papa in carica, Leone X de’ Medici, convoca un concistoro per discutere con i cardinali di cosa stesse succedendo.

Testimoni del tempo che conobbero tale fenomeno e ne scrissero furono Marin Sanudo, annalista, storico e diplomatico veneziano (Verdello era allora nella repubblica di san Marco) e Bartolomeo Martinengo, nobile del castello di Villachiara sul fiume Oglio, in provincia. Nel gennaio 1518 a Cesena venne stampato un opuscolo su questo strano prodigioso evento.
Persino lo storico fiorentino Francesco Guicciardini ne fa menzione in una sua lettera spedita da Brescia.

Lo stesso Guicciardini, nel secondo capitolo della sua Storia d’Italia dal 1492 al 1534, testo molto preciso nei fatti, scrive. “Nei dì medesimi, un caso che accadde a Milano spaventò molto l’animo dei francesi, come se con segni manifesti fossero ammoniti dal cielo delle future calamità. Il giorno solenne per la memoria della morte del principe degli apostoli (ricorrenza dei santi Pietro e Paolo, 29 giugno 1521, NdR), tramontato già il sole nel cielo sereno, cadde per l’aria dall’alto a guisa di uno fuoco innanzi alla porta del castello (Sforzesco), ove erano stati condotti molti barili di polvere d’artiglieria, tratti dal castello per mandarli a certe fortezze; per il che levato subitamente con grande strepito grande incendio, ruinò insino dai fondamenti una torre di marmo bellissima, fabbricata sopra la porta, nella sommità della quale stava l’orologio, né solamente la torre ma le mura e le camere del castello e altri edifici contigui alla torre; tremando nel tempo medesimo, per il tuono smisurato e per la ruina tanto grande, tutti gli edifici e tutta la città di Milano: e i sassi e le pietre grandissime dalle ruine volavano con impeto incredibile spaventosamente in qua e in là per l’aere, ora percorrendo nel balzare molte persone ora ricoprendole con le ruine, dalle quali era ricoperta, con tanti sassi che pareva cosa stupendissima, la piazza del castello;  dei quali alcuni di smisurata grandezza volarono lontani per ispazio più di cinquecento passi. Ed era l’ora propria che gli uomini, cercando di ricrearsi dal caldo, andavano passeggiando per la piazza; perciò furono ammazzati più di cento cinquanta fanti del castello e il castellano della Rocchetta e quello del castello, e gli altri rimasero tanto attoniti e privi d’animo e di consiglio: e venne ruinato tanto spazio di muro che al popolo, se si fosse mosso, sarebbe stato molto facile l’occupare quella notte il castello”.

La torre d’entrata al castello Sforzesco di Milano era stata costruita intorno al 1460 dall’architetto fiorentino Antonio Averulino, detto il Filarete. Verrà ricostruita solo alla fine dell’800.

500 ANNI FA GLI ALIENI IN LOMBARDIA?

In pratica, un proiettile, forse un razzo caduto da molto in alto fa esplodere i barili di polvere da sparo contenuti nel Castello Sforzesco. Non poteva essere stato lanciato da un aereo o un pallone aerostatico, quest’ultimo verrà inventato 250 anni dopo. Un missile teleguidato era inimmaginabile.

Con questi vecchi episodi siamo davvero nel terreno dell’ufologia di Peter Kolosimo (1922-1984)?

500 ANNI FA GLI ALIENI IN LOMBARDIA?

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