“Incosciente! Non sapevi che Plinio il Vecchio morì osservando l’eruzione del Vesuvio?”

Così, nel 1492, scrisse il Signor Bernardo Bembo, patrizio veneziano che per la Serenissima avrebbe più volte ricoperto il ruolo di ambasciatore, al figlio Pietro, non appena ricevette la lettera in cui quest’ultimo lo informava di essersi avventurato, coi mezzi e l’attrezzatura di quegli anni, fin sulla vetta dell’Etna, dopo una salita durissima.

Scrupoloso come uno scienziato in erba, incurante del pericolo come soltanto un ventenne può esserlo, Pietro era partito da Messina insieme all’amico Angelo Gabriele, col fermo proposito di “farcela”, di vincere cioè la sua personalissima sfida con quel gigante borbottante ed irrequieto, il “Mongibello”.

Dopo essersi prima imbattuti in due piccoli crateri “che ancora contenevano fuoco e zolfo” e dai quali, con loro grande spavento, improvvisamente “si mise a sgorgare un fiume di lava, proprio sotti i nostri piedi”, i nostri giovani eroi, senza mai arrendersi, giunsero fin sulla sommità dell’Etna, trovandone il vertice occupato da “un enorme cratere della circonferenza di circa quattro stadi” con un foro centrale dal quale “la montagna eruttò con gran fragore lava, fuoco e pietre ardenti”.

Fortunati, i due esploratori riuscirono a tornare a valle indenni, con Pietro che non tardò a raccontare la sua strabiliante impresa in un volumetto intitolato “Petri Bembi de Aetna ad Angelum Chabrielem Liber” nel quale, in forma dialogica col padre (leggendolo, par di trovarsi di fronte ad un testo scritto a quattro mani da due “Angela ante litteram”!), raccolse in termini rigorosamente scientifici le sue osservazioni, in quella che, storicamente parlando, rimane la prima vera e propria descrizione dell’Etna.

Nato a Venezia il 25 maggio del 1470, Pietro Bembo fu uomo estremamente brillante ed eclettico, dagli interessi molteplici, mosso da incessante curiosità e sete di sapere.

In Sicilia, dopo un viaggio avventuroso, sbarcò nel 1492 perché inviatovi dal padre, per impratichirsi in greco sotto la guida del dottissimo Costantino Lascaris.

Vi trascorse alcuni degli anni più belli della sua vita per poi rientrare in patria nel 1495, iniziando una collaborazione col famoso editore Aldo Manuzio, per il quale curò, oltre al resto, la prima edizione della grammatica greca del suo Maestro, Costantino Lascaris.

Interessato a tutto ciò che fosse cultura, arte, scienza e bellezza, compresa quella delle Signore che all’epoca se lo contendevano per gentilezza dei modi e dolcezza dell’eloquio, Pietro seguì poi il padre in missione diplomatica a Ferrara, dove ebbe modo di conoscere non solo Ludovico Ariosto, ma anche la neo Duchessa Lucrezia Borgia, con la quale intrattenne un rapporto amoroso destinato a durare nel tempo, che gl’ispirò in parte la scrittura degli “Asolani”, dialoghi amorosi ambientati nella Villa di Asolo di Caterina Cornaro, regina di Cipro.

Dalla città estense dovette infine allontanarsi a causa del montare dei pettegolezzi sulla coppia, per trasferirsi prima nella Urbino dei Montefeltro e poi nella splendida Roma di Papa Leone X, avendo così modo di frequentare i più noti letterati ed artisti dell’epoca, in primis Baldassarre Castiglione e Raffaello, ed introdursi nel contempo nel “giro giusto”, diventando poco a poco un personaggio di spicco del Rinascimento.

Entrato nel 1522 nell’Ordine Gerosolomitano, non rinunciò tuttavia al suo rapporto more uxorio con la romana Faustina della Torre, che lo rese padre di tre figli e lo seguì a Padova, dopo il decesso del suo protettore Leone X.

La tranquillità del “buen ritiro” patavino e dell’amore familiare gli consentì di dedicarsi alla scrittura di numerosissime opere sia in volgare, che in latino, facendolo diventare uno dei letterati più noti del suo tempo, tanto da guadagnargli la nomina a storiografo ufficiale della serenissima Repubblica e bibliotecario della Marciana.

Tanta fama gli spianò la strada al cardinalato, traguardo raggiunto nel 1539 col conferimento della berretta rossa da parte di Papa Paolo III, che lo convinse anche a farsi ordinare sacerdote e tornare a Roma, dove sarebbe spirato il 18 gennaio del 1547, per essere sepolto nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

Tiziano ce lo presenta fresco di nomina cardinalizia, nella veste scarlatta di Principe della Chiesa, in un ritratto celebrativo in cui il volto severo del Bembo, coi suoi tratti scarni e spigolosi, trasmette all’osservatore un’immagine al tempo stesso di grande rigore morale ed acuta intelligenza.

Esattamente ciò che incarnò quest’Uomo, esploratore in gioventù e figura di spicco del nostro Rinascimento.

ETNA
“Ritratto di Pietro Bembo”, di Tiziano Vecellio, 1539, National Gallery of Art, Washington

 

4 pensiero su “1492, PER LA PRIMA VOLTA SULL’ETNA”
  1. Molto intrigante questa figura di divulgatore, storico, umanista, porporato non così casto.
    Sono incuriosito dall’aspetto linguistico: le opere in “volgare” sono scritte in veneziano o in altra parlata?

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