Capita sempre più spesso di assistere a discussioni e scontri anche piuttosto accesi tra chi apprezza esclusivamente i film del passato e coloro che ritengono costoro degli inguaribili nostalgici.
Per quel che riguarda il cinema di genere va riportata, sull’argomento, una recente e tranciante dichiarazione di Dario Argento, secondo cui tanti horror che escono oggi sono brutti.
Non si può certo dargli torto.
A onor del vero, va però sottolineato che anche all’epoca nella quale Argento girava i suoi capolavori, non tutti i film del terrore erano di eccelsa fattura. Compresi quelli italiani.
Proponiamo allora alcuni thriller realizzati in Italia negli anni Sessanta e Settanta che, tra pregi e difetti, vale comunque la pena rivedere.

(Foto di apertura: Mio caro assassino di Tonino Valerii, 1972)

Horror

Nel 1963 viene realizzato un film dell’orrore in costume e sostanzialmente gotico, in cui però l’elemento sovrannaturale è solamente fittizio. Si tratta di Horror, diretto da Alberto De Martino.
Ambientato in Inghilterra nell’Ottocento, il film è imperniato sulle gesta di un mostro che uccide nella campagna inglese. Sembrerebbe essere il padre della giovane protagonista, chiamata al castello in seguito alla morte dell’uomo, ma alla fine si scopre che sono le gesta di un folle mascherato che vuole eliminarla. Dunque, nonostante siano presenti tutti i classici elementi dell’orrore di quel periodo, e il regista riesca a creare una buona atmosfera sovrannaturale e macabra grazie ad alcune sequenze di buon livello, il film anticipa abbastanza il thriller che verrà.

Il boia scarlatto

Un altro film del terrore incentrato su un folle assassino, che segue la strada aperta da Mario Bava con La ragazza che sapeva troppo, ma che prende chiaramente ispirazione anche dai fumetti neri dell’epoca, è Il boia scarlatto, diretto nel 1965 da Massimo Pupillo (che si firma Max Hunter).
La vicenda del proprietario del castello che credendosi la reincarnazione del Boia Scarlatto (un sadico punito per le sue malefatte con una morte atroce, chiuso in una bara chiodata chiamata nel film la “vedova di Norimberga” invece che la vergine) compie una serie di efferati delitti sterminando i componenti di una troupe fotografica che sta realizzando le copertine per una serie di libri dell’orrore (con protagonista una variante di Kriminal: Scheletrik), riecheggia per temi e atmosfere i gotici usciti negli anni precedenti. Il tema della reincarnazione non viene però approfondito e, quindi, Il boia scarlatto può essere considerato il vero anello di congiunzione tra l’horror e il thriller con assassini. La novità è che l’assassino uccide per affermare la legge del Superuomo che non vuole essere contaminato dagli esseri inferiori e spiega le sue motivazioni con interminabili monologhi. Gli effetti speciali sono di Carlo Rambaldi e tra gli interpreti, oltre al culturista Mickey Hargitay e all’onnipresente (in quel periodo) Walter Brandi (Brandt), troviamo anche una giovanissima Femi Benussi (che nei titoli ha ovviamente il suo bravo pseudonimo inglese: Femi Martin), attrice che diventerà negli anni Settanta una delle dive sexy più apprezzate.

Il rosso segno della follia

Il rosso segno della follia (1970), di Mario Bava, è un thriller in cui il giallo lascia quasi definitivamente il passo all’azione omicida e alle sue conseguenze e infatti è, tra gli ultimi film del terrore degli anni Sessanta, il più anticipatore (almeno per quel che riguarda le nostre produzioni).
Conosciuto anche col titolo Un’accetta per la luna di miele è, per la verità, un film a metà strada tra il cinema di assassini e il fantastico, poiché la vicenda è imperniata sul proprietario di un atelier che, in seguito a un trauma vissuto da bambino, è preda di raptus di follia in cui uccide varie indossatrici. Uccide anche la moglie, che però torna come fantasma e lo perseguita. Uno spettro, quindi, irrompe in una storia per il resto abbastanza realista e che, pur con una forte componente ironica, resta un thriller con protagonista uno psicopatico, di grande modernità. Decisamente anticipatore, anche perché fedele a una contaminazione di generi e a una libertà creativa che ha sempre contraddistinto il cinema di Bava. Il regista in un’intervista definì Il rosso segno della follia «la storia del solito pazzo», forse senza immaginare o prevedere che con l’inizio del nuovo decennio queste storie avrebbero invaso il cinema italiano del terrore.

10 THRILLER ITALIANI DA RIVEDERE


La tarantola dal ventre nero

Vicino al cinema del terrore puro è La tarantola dal ventre nero, diretto da Paolo Cavara nel 1971.
L’idea dell’assassino che, come la tarantola, immobilizza le vittime con un’iniezione e poi le viviseziona rende questo film uno dei migliori tra i thriller di derivazione argentiana dei primissimi anni Settanta. Le indagini vengono condotte da un giovane commissario (Giancarlo Giannini), la tensione è presente per l’intera durata del film e alcuni omicidi sono piuttosto violenti e spaventosi. Cavara dimostra di avere talento e di saper far rabbrividire lo spettatore con pochi tocchi, cosa che confermerà con un altro film dell’orrore, E tanta paura, del 1976.

La corta notte delle bambole di vetro

La scomparsa di alcune ragazze dà inizio all’intricata, sulfurea e interessante storia raccontata da Aldo Lado nel suo La corta notte delle bambole di vetro (1971).
Il tutto è rievocato dal protagonista, un giornalista trovato morto in un giardino. L’uomo in realtà è solo apparentemente deceduto. Steso all’obitorio, cerca di ricordare ciò che gli è accaduto e spera che i medici si rendano conto che lui è ancora vivo. Indagando sulla scomparsa di una sua giovane amica, il giornalista era venuto a conoscenza di alcuni sacrifici umani compiuti da una setta misteriosa. Scoperto e ridotto in uno stato di catalessia, si sveglia soltanto durante l’autopsia, per scoprire d’essere capitato tra le mani del capo della setta. Lado, anche sceneggiatore, cerca una via diversa dai soliti assassini guantati, e il tentativo gli riesce piuttosto bene, anche grazie all’ambientazione in quel di Praga.

La bestia uccide a sangue freddo

Non mancano le situazioni morbose in La bestia uccide a sangue freddo (1971), unica incursione nel cinema del terrore del regista Fernando Di Leo, più famoso per le pellicole noir/poliziesche.
La vicenda si svolge in una clinica per donne malate di mente, dove un assassino comincia a uccidere nei modi più orribili. La sceneggiatura cerca di depistare con vari indiziati (tra cui ovviamente il protagonista Klaus Kinski) e il finale riesce a sorprendere. Di Leo inserisce un alto tasso di erotismo e di violenza: un’infermiera viene decapitata, la ninfomane interpretata da Rosalba Neri massacrata con un’ascia, l’autista chiuso in una sorta di vergine di Norimberga e nel finale l’assassino si scatena con una mazza ferrata. Tuttavia, nel complesso, si tratta di un film abbastanza sconclusionato e privo del ritmo necessario a un thriller.

Giornata nera per l’ariete

Lo stesso si può dire di Giornata nera per l’ariete, diretto da Luigi Bazzoni sempre nel 1971.
Un giornalista (Franco Nero) indaga su una serie di delitti commessi dal giovane assistente di un chirurgo. Il film si avvale della fotografia (ottima) di Vittorio Storaro e delle musiche di Ennio Morricone. Bazzoni gira piuttosto bene ma raramente sa sviluppare una vera suspense, se non in alcune singole scene (su tutte, quella del bambino rimasto solo in casa, magistrale). La storia si snoda in maniera piuttosto lenta e i personaggi spariscono senza lasciare traccia. Una delle vittime è Ira Furstenberg, la cui partecipazione in termini di minutaggio è veramente irrisoria. Gli omicidi non sono né creativi né sanguinosi.

Mio caro assassino

Realmente terrorizzante è invece Mio caro assassino (1972), di Tonino Valerii, uno dei migliori thriller con pazzo omicida del cinema italiano.
Un investigatore delle assicurazioni che stava indagando sul rapimento e l’omicidio di un industriale e della sua bambina, viene ucciso. La polizia scatena una caccia all’assassino, che però continua a uccidere. Finché si scopre che il colpevole è il fratello dell’industriale, mutilato e convinto che responsabile di tale mutilazione sia proprio il fratello. La regia di Valerii mantiene una costante tensione, e alcuni omicidi raggiungono vertici di vera angoscia (la decapitazione iniziale, la maestra uccisa con una sega elettrica). Mio caro assassino è senza dubbio uno dei thriller nostrani che maggiormente ha avviato il genere verso l’orrore. Le musiche, di grande impatto, sono ancora del maestro Ennio Morricone.

Cosa avete fatto a Solange?

Nel 1972 esce l’altrettanto riuscito Cosa avete fatto a Solange?, in cui il bravo (e sottovalutato) regista Massimo Dallamano, ex operatore, sceglie come ambientazione un esclusivo collegio femminile londinese.
Tre studentesse vengono barbaramente uccise e la polizia sospetta un professore (Fabio Testi) che aveva una relazione con una di loro. Quando il professore viene scagionato, comincia a indagare per conto proprio, fino a scoprire che l’autore degli omicidi è il padre di una ragazza impazzita in seguito ad un aborto clandestino. Il film è morboso e cupo, in perenne equilibrio tra un ambiguo voyeurismo erotico (molte le nudità femminili) e la lucidità analitica del giallo. Tra le varie giovani attrici troviamo Camille Keaton, protagonista poi nel 1981 di un altro film intriso di sesso e violenza, Non violentate Jennifer, dell’americano Meir Zarchi.



Morte sospetta di una minorenne

In Morte sospetta di una minorenne (1975), di Sergio Martino, un altro poliziesco con molti elementi da thrilling argentiano, gli omicidi vengono commessi per eliminare i testimoni. La storia (scritta da Ernesto Gastaldi) è per certi versi simile a quella del precedente La polizia chiede aiuto (di Massimo Dallamano). Il commissario Germi indaga sulla morte di una ragazza, invischiata nel giro della prostituzione, e scopre che il colpevole è un magnate che organizza orge a base di cocaina. Martino mischia un po’ di tutto, Profondo rosso viene citato in continuazione, senza però esagerare con la violenza né con il sangue e il lungo inseguimento a metà film mischia l’azione alla comicità, con risultati esilaranti. Mentre la sequenza che si trasferisce dall’otto volante alla metropolitana lascia a bocca aperta per la bravura tecnica del regista e della sua troupe.




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