Marina Hedman è una bionda svedese dagli occhi azzurri e il fisico prorompente, la prima vera diva del nostro cinema porno. Rappresenta bene la mitizzata figura della peccaminosa svedese calata dal nord a caccia di maschi nostrani.
Nella sua carriera userà tre cognomi, prima il proprio, Hedman, poi quello del marito Frajese e infine uno inventato: Lotar.

Marina nasce a Goteborg, in Svezia, nel 1944. Le cronache mondane si occupano a lungo del suo amore con il giornalista Rai Paolo Frajese (in Svezia per un servizio televisivo), che lei segue in Italia lasciando il lavoro di hostess negli aerei e di modella.

Marina e Paolo si conoscono molto giovani (vent’anni lei e venticinque lui), si sposano presto e dal loro matrimonio nascono due figli. Per un po’ di tempo la bionda svedese pensa solo alla famiglia, ma quando i ragazzi cominciano a essere grandi sente il richiamo irresistibile delle scene.
Marina accetta tutto in attesa di una grande occasione che non si presenta mai, anche se arrivano diversi spot: dentifricio Ceccarelli, Bairo, Ballantine, Molinari…

L’esordio nel cinema avviene nel 1976, dopo il divorzio dal marito, e il tipo di pellicole che le vengono offerte (visto il fisico e i tempi) sono solo erotiche e porno.
Il suo primo film è Donna cosa si fa per te di Giuliano Biagetti (1976), poi la troviamo ne La pretora di Lucio Fulci e in Emanuelle in America di Joe D’Amato (dove fa un inserto porno molto spinto). Subito dopo arrivano Il ginecologo della mutua di Joe D’Amato e Le notti porno nel mondo del duo Massaccesi-Mattei. In nessuna di queste pellicole ha un ruolo di primo piano.

Nel 1977 la rivista Playboy le dedica un servizio fotografico di Bruno Oliviero ed è il segnale di una raggiunta notorietà tra il pubblico del cinema sexy. Tra l’altro, il servizio di Playboy dà il via alla polemica tra l’attrice e l’ex marito scandalizzato, che nel frattempo è diventato un volto popolare del Tg.
Marina recita anche nel cinema “normale”, ma sono apparizioni di poco conto. Tra questi film citiamo Primo amore di Dino Risi e Come perdere una moglie… e trovare un’amante di Pasquale Festa Campanile.

Le pellicole erotiche, anche piuttosto spinte, fanno la parte del leone e la troviamo impegnata con Le notti porno nel mondo 2, Emanuelle e le porno notti e Nudeodeon.
Nonostante tutto Marina non sfonda e il momento del successo è ancora lontano, anche se nel 1978 la eleggono Lady Europa e subito dopo Playmen la presenta ai suoi lettori come mamma l’ha fatta.

Nel 1978 esce Le mani di una donna sola di Nello Rossati, un erotico psicologico molto vicino all’hard che è il suo primo film da protagonista. La sua seconda prova è dell’anno successivo con l’ancora più spinto ed eccessivo Il mondo porno di due sorelle, di Franco Rossetti.

Marina Frajese, sull’onda del primo successo, passa in prestito al calcio come testimonial della Fiorentina, società per la quale dice di provare molta simpatia, e appare vestita da calciatrice in maglietta viola nel settimanale Guerin Sportivo.
A quel tempo lo facevano molte attrici dell’erotico italiano: a fine anno la popolare rivista sportiva pubblicava un calendario che raffigurava un insolito connubio tra dive sexy e squadre di calcio. Ricordiamo ancora una sensuale Gloria Guida vestita con la maglietta della nazionale italiana prima di un campionato mondiale.

 

Un caso giudiziario vede protagonista Marina Frajese, condannata a sei mesi di reclusione (con la condizionale) per l’omicidio colposo del ventitreenne Massimo Bucci. La sentenza, del gennaio 1979, è redatta dal Tribunale di Roma per una tragica fatalità avvenuta tre anni prima.
Massimo e Marina rincasano insieme dopo una cena di compleanno da alcuni amici, passata in allegria e spensieratezza. Massimo è innamorato di Marina, da tempo le fa una corte insistente, telefona ogni giorno, chiede appuntamenti e vorrebbe uscire con lei. Marina invece considera il giovane solo un amico e cerca di dissuaderlo da un amore impossibile, non gli dà speranze.
Quella sera però il ragazzo le fa tenerezza ed è così che lo invita a salire sulla sua auto per rientrare insieme. E poi lui ha bevuto troppo, non può certo guidare in quello stato. Marina mette in moto la sua auto e il ragazzo pare felice di sedere accanto alla donna che ama: sorride, le fa qualche complimento, ma niente di più. Quando arrivano nei pressi della stazione di Trastevere le avances di Massimo si fanno più insistenti. Comincia ad allungare le mani verso la gonna di Marina, che cerca di calmarlo ma non ci riesce. Massimo, completamente ubriaco, le salta addosso. Marina perde il controllo dell’auto che si va a schiantare contro un albero. L’attrice esce fuori senza un graffio. Massimo, invece, batte la testa sul parabrezza e muore sul colpo. Una tragica fatalità che getta Marina nella disperazione più totale, convinta di aver ucciso un caro amico, anche se non può dirsi responsabile della sua morte. La bella svedese si butta anima e corpo nel lavoro per dimenticare le disavventure della vita.

Nuovi guai giudiziari sono dietro l’angolo. Questa volta è l’ex marito Paolo che le fa causa per ottenere la potestà sui figli, adducendo come motivo la vita spregiudicata della ex moglie. Marina in questo periodo va avanti tra hard e piccoli ruoli nel cinema di serie A (Gegè Bellavita di Pasquale Festa Campanile, La città delle donne di Federico Fellini, Immagini di un convento di Joe D’Amato e Playmotel di Mario Gariazzo). In Libidine di Raniero di Giovanbattista (1979) c’è una scena molto spinta tra lei e il transessuale di colore Ajita Wilson, rimasta famosa negli annali del cinema hard. Il film viene sequestrato anche per una sequenza che vede una sorprendente Cinzia De Carolis (attrice dell’erotico) alle prese con un serpente infilato nella vagina.

Di questo periodo è la famosa scena in Happy birthday, Harry! dove Marina è vestita con schiuma da barba sul sedere e sul seno, sconvolgendo alcune persone che passano per caso dal set.

Nel 1980 Marina comincia a fare il porno vero e proprio da protagonista, dopo aver debuttato con Sì… lo voglio di Angelo Pennacciò, dove interpreta una squillo un po’ lesbica in una casa retta da una maîtresse, Guya Lauri Filzi. La Frajese si afferma come diva del porno italiano con un film che la rende popolare tra i fan: Lea, orgasmo esotico, subito seguito da Morbida… Marina e la sua bestia.

La sua popolarità cresce al punto da convincere i produttori a mettere spesso il suo nome nel titolo, una cosa che capita solo a poche attrici. Mario Siciliano gira molte pellicole con lei protagonista che hanno come base solo il suo corpo, Marina inizia a utilizzare lo pseudonimo di Marina Lotar quando il tribunale le vieta di usare quello dell’ex marito.

Nonostante il successo nell’hard, Marina non dimentica il cinema tradizionale e la troviamo nel cast di film come Delitto a Porta Romana, La bestia nello spazio, La compagna di viaggio e Una moglie, due amici, quattro amanti.

La sua strada è comunque il cinema hard e il sodalizio che la lega a Mario Bianchi è il più duraturo e fruttuoso, visto che nel periodo 1980-1990 gira con lui almeno quindici porno con relativa versione soft. Ricordiamo tra i tanti: La dottoressa di campagna, La bimba di Satana e Chiamate 6969 taxi per signora.
Il nome di Marina Frajese (e poi Lotar) è sinonimo di garanzia per il pubblico dell’hard, soprattutto perché lei fa ogni tipo di scena e non delude mai. Marina è la prima vera star del sistema hard e riviste per adolescenti in calore come Ov, Break e Blitz le dedicano spesso la copertina.
Le riviste scandalistiche mettono sempre bene in evidenza il fatto che “la porno star Marina Lotar è la ex moglie di Paolo Frajese”. L’accostamento insolito tra un compassato mezzobusto televisivo e una diva del cinema porno fa cassetta e incuriosisce i lettori.
Nel 1985 l’ex marito vince la lunga vertenza giudiziaria con Marina per proibirle di usare il suo cognome. Per reazione la stampa scandalistica pone ancor più l’accento sul fatto che la pornostar è la sua ex moglie. Il settimanale Blitz esce con una copertina che fa vedere lei nuda e l’ex marito in un riquadro mentre mostra un’espressione imbambolata.

Marina Frajese va avanti per la sua strada e compie un exploit innovativo dandosi all’hard zoofilo in Morbida Marina e la sua bestia di un regista trasgressivo come Renato Polselli. Marina fa sesso con i cavalli, confessa a Ov che le piace e decanta la grossezza del loro membro.
I suoi porno da edicola girati da Franco Lo Cascio (si firma Lucky Faar Delly) sono un successo, anche se le videocassette al tempo costano molto.


Marina è la regina del porno italiano e nel 1986 decide di provare a fare teatro con una rivista itinerante che è un mix di sesso e spettacolo, una cosa di buon gusto che non ha niente a che vedere con l’hard.
Nonostante il successo nel porno, di tanto in tanto continuiamo a vederla in ruoli marginali del cinema normale, dove spesso interpreta parti vicine al suo ruolo nel mondo del porno. Ricordiamo fugaci apparizioni in Delitto sull’autostrada, Fantozzi subisce ancora e Delitto al Blue Gay.

Marina fa l’hard perché le piace. I suoi colleghi attori e i registi che l’hanno diretta confermano che sul set era bravissima e professionale. Mark Shanon la ricorda come “una bellissima donna che sapeva quello che faceva”. Massaccesi e D’Agostino ci lavorano volentieri perché non ha nessun problema a girare le scene più estreme. Marina non ha remore o rimpianti di sorta, vive il mondo dell’hard come una famiglia e dice che il suo lavoro è privo di ipocrisie. “Io non vado a letto con gli uomini per avere una parte. Faccio l’amore perché sono un’attrice”, afferma.

Nel mondo dell’hard però si vocifera che beve troppo, e la voce si fa sempre più insistente. Tiene sempre la bottiglia nella borsa e l’alcol spesso non la fa ragionare, le annebbia la mente. Certi suoi film sembrano confermare questo vizio, se vogliamo dare credito al mito dell’attore che si immedesima nel personaggio. Libidine e Margot la pupa della villa accanto sono storie di donne con il vizio del bere e Marina interpreta molto bene questo ruolo.
Sì, Marina è alcolizzata, lo confermano molte testimonianze, non ultima quella del regista D’Agostino che lavora molto con lei. “Beveva whisky dalla mattina e quando era ubriaca non era facile averci a che fare”, confessa D’Agostino.

Marina continua con il porno anche negli anni novanta, quando il suo fisico in declino non le consente più di ricoprire ruoli principali. L’alcol distrugge il fisico di un’attrice cinquantenne che non si arrende e non vuole uscire di scena. Uno dei suoi ultimi lavori è Finalmente Marina (1991), che la vede appesantita come un pallido ricordo di se stessa.
La Frajese chiude la carriera con una particina da cassiera di film erotici in Appuntamento in nero di Antonio Bonifacio (1990) e con Video annunci 3 (1991), una videocassetta per scambisti.

Per un po’ di tempo la stampa specializzata in pettegolezzi si dimentica di lei, poi uno scandalo a Viterbo la riporta alla ribalta delle cronache. È il 1994 quando la questura di Viterbo compie una perquisizione nel Sibilla Club Privé, un locale per scambisti ospitato nel Castello di Nepi. Dopo accurate indagini viene fuori che il locale è una casa di tolleranza camuffata da club privato per soli soci.
Alcuni giorni prima nel locale erano state viste le ex porno star Karin Schubert e Marina Frajese, che subito smentiscono e minacciano querele. Le paventate azioni giudiziarie però non partono e dopo il primo scalpore la cosa si sgonfia da sola.

Nel 1999 si parla di un ritorno sulle scene di Ilona Staller, Eva Henger, Venere Bianca e Marina Frajese per uno spettacolo di strip a Trezzano sul Naviglio, vicino a Milano. Alla fine però il progetto rientra e non se ne fa di niente.

Nel 2000, a soli sessant’anni, muore l’ex marito Paolo e c’è qualcuno che si ricorda di lei nella commemorazione funebre del giornalista.
Adesso Marina si è nascosta al mondo rifiutando le parti che le vengono proposte per film e fiction, anche se resta in noi il ricordo di una donna dalla vita trasgressiva che ha sfidato convenzioni e conformismi.

 


L’ultimo libro di Gordiano Lupi si intitola “Storia della commedia sexy all’italiana, volume 1 – Da Sergio Martino a Nello Rossati”, Sensoinverso Edizioni 2017

 

 

 

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