Junji Ito, nato nel 1963, è uno dei più apprezzati autori di manga horror.


L’idea di horror comunemente intesa coincide poco con l’opera di Ito, il quale si discosta dagli standard abituali. Nell’opera di Ito non ci sono mostri nascosti, sangue a volontà, assassini pazzi e spiriti. Il suo modo di spaventare è sottile e psicologico: cerca immagini e contenuti atipici, spesso innaturali, che portano il lettore a percepire la nausea durante la lettura. Dietro a ogni singola rappresentazione è presente uno studio accurato dell’animo umano: Ito sa ciò che inconsciamente ci terrorizza, quali sono gli elementi che, per quanto siano in profondità, una volta riemersi ci disgustano, conosce cosa ci può toccare nel profondo fino a destabilizzarci.


Junji Ito trova il mostruoso nelle cose semplici, le sue immagini presentano elementi di tutti giorni utilizzati in modo innaturale. Gli oggetti comuni sono vicini a noi, possiamo vederli e toccarli, non sono fantasmi di cui non abbiamo mai avuto esperienza, il loro impatto mina la nostra sicurezza.


L’elemento fondamentale del terrore che aleggia nei fumetti di Junji Ito è la modificazione del corpo, quello che viene chiamato body horror. Se avete visto film come “Videodrome” e “La cosa” o il fumetto “Black Hole” di Charles Burns capite di cosa si sta parlando. Il body horror è la modificazione del corpo a causa di elementi esterni, che portano a una sua denaturalizzazione, trasformandolo completamente e privandolo della sua umanità. L’individuo, una volta spogliato del suo status di uomo, viene declassato mentre perde progressivamente gli elementi umani.

d24fa10633444d3f84525f6f932ccbf5
Esaminiamo due opere di questo maestro dell’horror, purtroppo tradotte solo in inglese.
Il protagonista del fumetto intitolato “Gyo”, scritto e disegnato da Junji Ito nel 2001, è un ragazzo che, assieme alla fidanzata, alloggia a Okinawa nella casa di suo zio. All’improvviso dentro casa viene percepito uno strano odore, di cui poi si scoprirà la causa…
Il fumetto “Uzumaki”, del 1998, è ambientato in una tranquilla cittadina in cui appaiono delle strane spirali e con il passare dei giorni gli abitanti cominciano ad esserne stranamente attratti.
Per quanto queste fumetti abbiano due storie completamente diverse, il metodo con cui Ito ci vuole terrorizzare è il medesimo.

schermata-2016-12-30-alle-12-54-59

Il body horror non è improvviso, inaspettato, non ci prende alla sprovvista, ma è qualcosa che progredisce lentamente, vignetta per vignetta, rendendoci partecipi della sua progressione. Nella lettura ci si trova in situazioni bizzarre fino all’inverosimile, ma trovandosi all’interno di quel lento processo risultano in qualche modo credibili, finché si riesce a metabolizzare anche il finale.
Ito agisce su un substrato sottile, è come una malattia che si propaga, divorando gradualmente la parte sana e razionale del lettore.


Il terrore che si nasconde tra le pagine di “Gyo” e “Uzumaki” è angosciante, ripugnante e malsano. Sembra di affondare dentro le acque di una palude, esalando gli ultimi respiri nell’aria soffocante e nauseabonda. Lo stile di Junji Ito è fortemente descrittivo e preciso: non si lascia scappare nemmeno un dettaglio utile per terrorizzare. I suoi disegni non hanno censure, anzi, Junji Ito si diverte a esagerare con i dettagli.


“Gyo” e “Uzumaki” sono tra le opere migliori del maestro dell’orrore, ma ce ne sono molte altre, tradotte solo in inglese, che possono offrire le peggiori sensazioni, una delle quali è “Tomie” del 1987, l’unica pubblicata in Italia da Hazard nel 2006. Tomie è una studentessa dai modi sprezzanti che, un giorno, viene spinta in un burrone dal suo fidanzato. I compagni di scuola, che la odiano per la sua arroganza, la fanno a pezzi mentre è ancora viva. Il giorno dopo, come se niente fosse, Tomie si presenta a scuola viva e vegeta, senza nemmeno una ferita. Il suo destino è quello di fare impazzire gli uomini e di essere uccisa da essi, per rigenerarsi ogni volta.

Mi auguro che presto seguano anche le edizioni italiane degli altri manga.

Gengar dei Pokemon secondo Junji Ito

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *